Cassazione lavoro

Licenziamento ritorsivo: determinante ed esclusivo

(Corte di Cassazione, sentenza n. 1514 del 25 gennaio 2021)

La ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione affermando, tra i vari motivi, la sussistenza del licenziamento ritorsivo  a seguito della sussistenza di contrasti interni tra la lavoratrice ed il personale religioso gestente la Congregazione. La Corte di Cassazione, con la presente sentenza, ha affermato che «in tema di licenziamento nullo perchè ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art.1345 cod. civ. deve essere determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale». Dal momento che la Corte d’Appello ha già rilevato la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di recesso (riorganizzazione aziendale), l’indagine sul carattere ritorsivo del licenziamento è superflua in quanto mancante il requisito determinante dell’efficacia determinativa esclusiva. MASSIMA: «in tema di licenziamento nullo perchè ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art.1345 cod. civ. deve essere determinante, cioè costituisce l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale. Se è presente un giustificato motivo oggettivo di recesso, l’indagine sul motivo illecito è superflua»

Ancora un caso di fatto contestato sussistente ma non illecito e tutela reintegratoria

(Corte di cassazione, Sez. Lavoro, n. 14054/2019 del 23 maggio 2019)
Un lavoratore era stato licenziato con l’accusa di tentativo di lesioni personali per aver lanciato contro un collega che effettuava un lavoro in maniera troppo rumorosa un bastone di 60 centimetri. Nell’annullare il licenziamento, ritenendo che in realtà il bastone fosse stato lanciato come mero gesto dimostrativo di protesta, i giudici hanno applicato la tutela reintegratoria, in base alla regola che questa spetta non solo quando il fatto contestato si riveli insussistente ma anche quando, pur sussistente, sia privo del carattere dell’illiceità.

Reintegra anche nel contratto di lavoro a tutele crescenti

(Corte di cassazione, Sez. Lavoro, n. 12174/2019 del 8 maggio 2019)

La Suprema Corte chiarisce che nella nozione "insussistenza del fatto materiale", introdotta dal legislatore del Jobs Act (d.lgs. 23/2015 in tema di contratto a tutele crescenti), rientra non solo il fatto materialmente inesis...tente, ma pure la condotta che non costituisca inadempimento degli obblighi contrattuali e perciò che non assuma rilevanza alcuna sotto l'aspetto disciplinare. Ne consegue che anche in questa seconda ipotesi il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto ad ottenere la reintegrazione e non soltanto un indennizzo economico. È opportuno ricordare che, sempre nell'ambito del contratto di lavoro a tutele crescenti, non è invece prevista la reintegrazione in caso di violazione del principio di proporzionalità tra inadempimento e sanzione.

Un caso di legittimo rifiuto del lavoratore di trasferirsi

(Corte di cassazione, Sez. Lavoro, n. 11180/2019 del 23 aprile 2019)

E’ noto che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte, il rifiuto del lavoratore di trasferirsi in altra sede di lavoro non è giustificato sic et simpliciter dall’illegittimità del trasferimento, ma occorre valutare la concreta situazione di fatto, alla ricerca di una soluzione di equilibrio tra i contrapposti interessi della parti...del rapporto di lavoro. Nel caso esaminato, la Corte ritiene decisamente illegittimo il licenziamento di una lavoratrice che non si era presentata nel posto di lavoro in cui era stata ingiustificatamente trasferita in sede di ripristino del rapporto di lavoro a seguito della dichiarazione di nullità del termine ad esso apposto. In proposito, la Corte valuta adeguata la reazione inadempiente della lavoratrice in ragione del fatto che reagiva a un duplice inadempimento del datore di lavoro: di ripristino del rapporto e di riammissione in concreto nel precedente posto o in altro di possibile trasferimento solo in caso di comprovate oggettive esigenze aziendali.

Ancora sugli obblighi di sicurezza del datore di lavoro

(Corte di cassazione, Sez. Lavoro, n. 8911/2019 del 29 marzo 2019)

Nel caso del licenziamento di un macchinista di treni che si rifiutava di svolgere le proprie funzioni da effettuare col sistema di guida con macchinista unico, lamentando che in caso di malore non avrebbe potuto essere assistito tempestivamente, la Corte, valutando gli obblighi di sicurezza che gravano sul datore di lavoro, ha anzitutto escluso che essi possano coprire ogni anche remota possibilità di infortunio e ha poi distinto gli obblighi di sicurezza codificati e quelli non codificati ma derivanti dalla disciplina generale di cui all’art. 2087 cod. civ., ricollegando alle due ipotesi anche un diverso contenuto degli oneri probatori in giudizio. Infine, la Corte ha confermato la legittimità del licenziamento in base alle circostanze concrete, valutate secondo la regola della necessaria proporzionalità della risposta inadempiente del lavoratore rispetto all’inadempimento del datore di lavoro.

La nuova disciplina del danno differenziale per infortunio
imputabile al datore di lavoro

(Corte di cassazione, Sez. Lavoro, n. 8580/2019 del 27 marzo 2019)

Come è noto, per effetto della recente riforma (legge finanziaria per il 2019) degli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124/1965, il danno differenziale dovuto in caso di infortunio attribuibile alla responsabilità del datore di lavoro è rappresentato da ciò che eccede tutte le inde...nnità erogate dall’INAIL e non più il risultato di una sottrazione distinta per componenti (patrimoniale e biologico) dal danno subito. La Corte, con una motivazione molto accurata, che attinge a principi costituzionali e a regole comunitarie e di convenzioni internazionali, esclude che la nuova disciplina possa trovare applicazione anche agli infortuni o malattie professionali verificatesi prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina e quindi, “a fortiori”, ai giudizi in corso.

La manifesta insussistenza del fatto nel licenziamento per motivi oggettivi

(Corte di cassazione, Sez. Lavoro, n. 7167/2019 del 13 marzo 2019)
Nel caso esaminato, è stato ritenuto manifestamente insussistente il fatto posto a base di un licenziamento per g.m.o., in quanto, pur essendo stata accertata la dedotta soppressione del reparto cui era addetta la lavoratrice, è stato ritenuto insussistente il nesso causale tra la soppressione e il licenziamento, in ragione del fatto che la ricorrente era stata, insieme ad altri , da poco trasferita nel reparto da sopprimere, quindi approfittando della prevista soppressione per liberarsi, ad libitum, di lavoratori estranei al reparto. La sentenza è interessante anche perché aderisce all’orientamento, che appare così consolidarsi, che collega in maniera automatica all’accertamento della manifesta insussistenza la tutela reintegratoria, svalutando la suggestione che potrebbe derivare dalle espressioni usate dal legislatore (“può altresì applicare” la tutela reintegratoria).

Ancora sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo

(Corte di cassazione, Sez. Lavoro, n. 4946/2019 del 20 febbraio 2019)

Ribadendo che, ai fini della legittimità del licenziamento oggettivo, il datore deve provare che il motivo inerente all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro addotto a sostegno dello stesso ha determinato un diverso assetto organizzativo attraverso la soppressione di una determinata posizione di lavoro, la Corte cassa con rinvio la sentenza dei giudici di merito che avevano respinto l’impugnazione del licenziamento, senza che il datore di lavoro avesse adempiuto al relativo onere probatorio nonché a quello relativo al possibile repechage del dipendente licenziato (viceversa erroneamente ritenuto gravare sul lavoratore).

Va provato il danno professionale di natura patrimoniale

(Corte di cassazione, Sez. Lavoro, n. 5431/2019 del 25 febbraio 2019)

La sentenza ricorda che il danno professionale di natura patrimoniale conseguente a un demansionamento può consistere sia nell’impoverimento della capacità professionale del lavoratore e nella mancata acquisizione di una maggiore capacità ovvero nella perdita di chances, ossia di ulteriori possibilità di guadagno. Ambedue i profili di danno non costituiscono peraltro automatico effetto dell’inadempimento del datore di lavoro, come nel caso esaminato sostenuto dal lavoratore, ma devono essere provati, anche per presunzioni, attraverso l’allegazione e prova di elementi concreti e sufficientemente specifici, significativi del pregiudizio effettivamente subito sul piano patrimoniale.

Utilizzo del pc in azienda: la pronuncia della Corte di Cassazione

(Corte di cassazione, Sez. Lavoro, n. 3133/2019 dell'1 febbraio 2019)

- La notifica per via telematica di un atto in “estensione.doc” anziché nel prescritto “formato.pdf” non ne comporta la nullità, se determina comunque la conoscenza del contenuto nel destinatario.
- Giustificato il licenziamento per il rilevante uso privato del computer aziendale.
La prima affermazione costituisce applicazione della regola per cui, in materia processuale, la nullità dell’atto è sanata dal raggiungimento dello scopo. La sentenza allegata, che un po’ inspiegabilmente ha sollecitato l’attenzione di tutti i media il giorno successivo alla sua pubblicazione, è quella della lavoratrice che durante l’orario di lavoro aveva ampiamente usato il computer aziendale per motivi personali (per lo più facebook). Inspiegabilmente perché, se il principio affermato dai giudici di merito non appare così strano o eccezionale da meritare un così diffuso interesse della stampa, la Corte di cassazione si è limitata a risolvere unicamente problemi di forma e di inammissibilità, in sede di legittimità, delle censure mosse dalla lavoratrice, senza entrare nella valutazione dei motivi posti a sostegno del licenziamento.

La manifesta insussistenza del fatto nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo

(Corte di cassazione, Sez. Lavoro, n. 3129/2019 dell'1 febbraio 2019)

I giudici di merito avevano applicato, nel regime ex legge Fornero, la tutela reintegratoria ad un caso di licenziamento per cessazione di appalto di un dipendente che era stato ivi addetto in violazione dell’art. 2103 cod. civ., ritenendo per ciò solo manifestamente insussistente il fatto posto a base del licenziamento per g.m.o. La Corte conferma che la nullità di tale assegnazione comporta l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, ma censura la sentenza per non essersi fatta carico di motivare esplicitamente, ai fini dell’applicazione della tutela reintegratoria, se tale insussistenza fosse evidente con riferimento anche ad uno solo degli elementi giustificativi del licenziamento, ovvero la ragione attinente l’attività produttiva…etc. e l’impossibilità di diversa utilizzazione del dipendente licenziato.

La manifesta insussistenza del fatto nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo

(Corte di cassazione, ordinanza 181/2019 dell'8 gennaio 2019)

Come è noto, nel regime della legge Fornero, nel caso in cui il fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo risulti manifestamente insussistente, spetta la tutela reintegratoria. La Corte ribadisce in motivazione: 1 - che manifesta insussistenza significa evidente e facilmente verificabile sul piano probatorio inesistenza dei presupposti del licenziamento; 2) che tali presupposti sono rappresentati sia dalle ragioni inerenti l’attività produttiva etc., sia dall’infruttuoso tentativo di repechage. E conclude, nel caso esaminato, che non è manifesta l’insussistenza del secondo elemento in presenza della semplice insufficienza probatoria dello stesso.

Inapplicabile il regime di decadenza all’impugnazione del licenziamento orale

(Corte di cassazione, ordinanza n. 523/2019 dell'11 gennaio 2019)

La Corte ribadisce la regola secondo la quale il licenziamento orale è inefficace - e non fa quindi decorrere il termine di decadenza stabilito dalla legge per la relativa impugnazione - in un caso in cui i giudici di appello avevano viceversa ritenuto di far decorrere il termine di decadenza dal momento in cui, a norma di contratto collettivo applicabile, il rapporto di lavoro cessava automaticamente per il subentro in un appalto di servizi e il dipendente veniva riassunto nell’impresa subentrante. Secondo la Corte, in questo caso manca la forma scritta del dedotto licenziamento, la cui impugnazione è pertanto soggetta unicamente a un termine di prescrizione.

Notizie giuridiche Cass. Lavoro: ante 2018

Tribunali del Lavoro 

I riders non sono lavoratori autonomi

(Tribunale di Palermo, Sez. Lavoro, del 30 novembre 2020)

Un ciclofattorino c.d.«rider», è stato assunto da una piattaforma digitale di food-delivery in data 28/09/2018. Il giorno 03/03/2020 è stato disconnesso senza essere più reintegrato, nonostante le numerose richieste. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento lamentando e la illegittimità essendo stato comminato in forma orale, discriminatorio e ritorsivo, ed ha chiesto al giudice di accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro in relazione alle concrete modalità di svolgimento della prestazione. Il Tribunale di Palermo ha accolto il ricorso riqualificando il contratto di lavoro come contratto subordinato a tempo indeterminato a seguito della mancanza di autonomia e della pervasiva eterodirezione quali elementi che hanno caratterizzato la prestazione del «rider». MASSIMA: «il rapporto di lavoro instaurato tra la piattaforma di food-delivery ed il ciclofattorino deve considerarsi come rapporto subordinato a tempo indeterminato quando la prestazione sia caratterizzata da una pervasiva eterodirezione datoriale e dall’assenza di autonomia in capo al lavoratore» 

Foodora: accolte parzialmente le richieste degli ex riders

(Corte di Appello di Torino, Sez. Lavoro, n. 26/2019 del 4 febbraio 2019)

Pubblicate le motivazioni della sentenza d'appello che ha parzialmente accolto le richieste degli ex riders di Foodora a Torino. Pur mantenendo la sua natura di autonomo, il lavoratore etero-organizzato, sotto il punto di vista retributivo e previdenziale ha diritto ("riguardo ai giorni e alle ore di lavoro effettivamente prestate") allo stesso trattamento dei lavoratori subordinati. Questo per via dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015, secondo cui "dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro".

Pubblicate le motivazioni della sentenza Foodora in appello

(Corte d’appello di Torino, Sez. Lavoro, n. 26/2019 del 4 febbraio 2019)

La Corte d’appello di Torino conferma la sentenza del Tribunale che aveva escluso che il rapporto dei riders di Foodora potesse considerarsi di lavoro subordinato, secondo i criteri classici di qualificazione. Tuttavia, in parziale riforma della Pronuncia, accoglie la domanda proposta in via subordinata dai lavoratori, relativa all’applicazione dell’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015, diretta a tutelare le “prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. In particolare, il Collegio descrive tale norma come la fonte di “un terzo genere, che si viene a porre tra il rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 cc e la collaborazione come prevista dall’articolo 409 n.3 c.p.c.”. Gli elementi caratterizzanti la fattispecie sono il concetto di etero-organizzazione in capo al committente - tale da determinare un’effettiva integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produttiva del committente – e la continuatività della prestazione di lavoro, da intendersi in senso ampio (ovvero sia come non occasionalità della prestazione sia come svolgimento di attività che vengono reiterate nel tempo al fine di soddisfare i bisogni delle parti). L’art. 2 D. Lgs 81/2015 comporta l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato alle collaborazioni che tuttavia, secondo il Collegio, continuano a mantenere la loro natura: premessa che induce la Corte a riconoscere ai lavoratori le differenze retributive con i trattamenti da lavoro subordinato, negando tuttavia l’applicazione della disciplina dei licenziamenti.

La prova della ritorsivitá del licenziamento può essere
data anche per presunzioni

(Tribunale di Milano, Sez. Lavoro dell’11 settembre 2020)

Un dirigente, incaricato di sviluppare e gestire corsi triennali in un Istituto di formazione superiore, è stato licenziato per giustificato motivo oggettivo in vista della soppressione della posizione. Tuttavia, a distanza di un breve termine, l’azienda ha proceduto a nominare un nuovo Direttore Accademico, incaricato di svolgere le medesime mansioni del dirigente appena licenziato. Il ricorrente ha lamentato la nullità del licenziamento in quanto ritorsivo e pretestuoso, stante i precedenti diverbi tra le parti. Il Tribunale di Milano ha affermato che la prova del licenziamento ritorsivo -che deve essere data dal lavoratore- può essere raggiunta anche in via presuntiva sulla base dell’avvenuto logoramento dei rapporti fra i vertici aziendali ed il lavoratore e la nomina di un College Director appena successiva alla formale soppressione della posizione del ricorrente. Rilevano, in particolare, nel caso in questione, le e-mail ingiuriose dalla parte datoriale che «trascendono la normale dialettica che può caratterizzare l’attività lavorativa». MASSIMA: «seppur onere della prova del licenziamento ritorsivo spetti al lavoratore, è possibile raggiungerla anche in via presuntiva sulla base dell’avvenuto logoramento dei rapporti di lavoro e della successiva e contestuale nomina di un diverso lavoratore chiamato a svolgere le medesime mansioni del soggetto licenziato»

Garante privacy

Provvedimento 16 gennaio 2019

La Newsletter del 25 febbraio 2019 pubblica il provvedimento con il quale il Garante per la protezione dei dati personali ha confermato il suo no al controllo massivo dei dati dei dipendenti. Nel caso specifico, una struttura sanitaria richiedeva di poter incrociare i dati dei propri infermieri, inviandoli all'ordine professionale di riferimento, per la verifica dei requisiti necessari per l’esercizio della professione infermieristica. Il Garante ha evidenziato che l’attuale quadro normativo non attribuisce agli Ordini competenze per generalizzate attività di ricerca e raccolta di informazioni personali.